sabato 12 luglio 2014

PROPOSTE E CONSIGLI - Come riconoscere un buon olio extravergine


Ho assistito, qualche tempo fa, ad un evento organizzato dall'associazione Campagnamica Abruzzo in collaborazione con Coldiretti. L'evento nasceva come promotore di un'alimentazione biologica, sana, con prodotti locali e garantiti: e poiché la costa abruzzese ha una radicata esperienza nella produzione dell'olio, c'erano molti stand dedicati alla degustazione di questa grandissima risorsa vegetale, con tanto di "assaggiatori certificati" che guidavano nel percorso. 
Prima di addentarmi nel discorso - ho parlato a lungo con una di loro, e il post è frutto di quanto ci siamo dette - vorrei innanzitutto rendervi partecipi dell'esistenza di questa bellissima qualifica: così come il vino ha il suo sommelier, l'olio ha i suoi assaggiatori professionisti. Ciascuno di noi può diventare assaggiatore professionista - che per altro è una professionalità istituzionale e riconosciuta secondo normativa ministeriale -, semplicemente seguendo un corso: mi sono ripromessa di farlo io stessa, non appena avrò la possibilità. Per quanti di voi desiderassero ulteriori informazioni, l'associazione ONAOO ed ANAPOO sono a vostra disposizione. 

Torniamo all'olio d'oliva. Ho deciso di racchiudere in questo articolo non tanto le sue virtù - universalmente riconosciute -, quanto un piccolo prontuario da consultare per imparare a difendersi dall'acquisto di olio adulterato. Nonostante grandi sospetti ruotino attorno all'olio d'oliva dichiaratamente non extravergine, non voglio certo giudicare i vostri acquisti: so bene quanto arrivino a costare certi prodotti e quanto possa essere difficile, a volte, far quadrare i conti. Per evitare fraintendimenti, specifico sin d'ora che quest'articolo se la prende con quegli oli che vengono venduti come extravergine, e che sono invece oli adulterati. Il fenomeno non è raro, ed interessa anche e soprattutto gli oli venduti da brand importanti: il processo varia dalla miscela con oli di qualità inferiore - a volte anche con oli che vegetali non sono - alla colorazione, alla profumazione. Il tutto, a danno del consumatore inconsapevole.
Per spiegare quanto l'olio adulterato possa essere dannoso, voglio prima fare una premessa. 

L'olio extravergine, per essere definito tale, deve essere ottenuto dalla prima spremitura delle olive attraverso processi meccanici, a freddo, senza ovviamente fare ricorso a sostanze chimiche in aggiunta: il prodotto non necessita né di conservanti né di "esaltatori della sapidità".
L'olio extravergine è, da crudo, fonte di vitamine A, E, K, D. La sua assunzione costante è in grado di tenere a bada il colesterolo - per quanto l'idea che l'olio sia un "grasso vegetale" faccia pensare il contrario - e di contrastare l'azione dei radicali liberi. Numerosi studi evidenziano inoltre, in relazione a quanto detto, una benefica azione antitumorale. 
Purtroppo l'olio perde gran parte di queste caratteristiche quando viene sottoposto a cottura. La cottura lo altera, e l'alterazione provoca inizialmente una scomparsa di tutte le proprietà curative; in una seconda fase, se protratta e ad alte temperature, trasforma il prodotto in tossico e cancerogeno. Ripeto: stiamo parlando di un olio puro, garantito, integro e salubre, in grado di trasformarsi in tossico e cancerogeno se surriscaldato. 
Detto questo, non è difficile immaginare cosa accade utilizzando, in cucina, oli adulterati. Le nostre nonne - nel gruppo metto anche la mia - ci hanno insegnato a preferire all'extravergine il semplice olio di oliva, più acido e meno puro, per le cotture: questo, per una semplice convenienza di tipo economico. Preferivano affidare all'extravergine il compito di condire le pietanze a crudo, per non sprecarlo. Vista la premessa iniziale, l'errore di fondo è molto evidente: ma come detto capisco bene cosa significhi vivere in ristrettezze economiche, e questo post vuol essere semplicemente un invito ad un utilizzo corretto. 
Ad ogni modo, fintantoché c'è consapevolezza della tipologia d'olio utilizzata, va tutto bene. Possiamo affermare che le vere insidie si nascondono nel consumo di oli venduti come extravergini, quando extravergini non sono: e ciò non solo per rispetto verso il nostro portafogli, ma soprattutto perché una tale dicitura ci fa sentire al "riparo" e legittimati a farne un uso smodato pensando di essere nel giusto.
L'olio adulterato è in grado di resistere meno alla cottura, alterando la propria composizione in minore tempo. Per quanto le preparazioni cotte non dovrebbero mai riguardare l'olio - cari onnivori, non sentitevi al sicuro: il burro fuso è ancora più tossico -, possiamo affermare che l'extravergine abbia un elevatissima stabilità, rispetto agli altri. La caratteristica di resistere alle alte temperature viene definita "punto di fumo", ed è un argomento su cui vi invito a documentarvi. Non proseguo oltre sulle modifiche strutturali derivanti dalla cottura, poiché ovviamente i pericoli che che nascondono gli oli adulterati sono soprattutto l'aggiunta di sostanze estranee, conservanti, profumi chimici, coloranti e addensanti. Tutte cose che, decisamente, non fanno bene alla salute e da cui è importante proteggersi.   

Veniamo quindi all'argomento del post. Come scegliere un buon olio extravergine, come riconoscerlo? Un consiglio che può apparire scontato è sicuramente quello di rifornirsi presso aziende locali. A volte basta allontanarsi un po' dai centri cittadini per trovare frantoi in grado di offrire un prodotto ottimo ad un prezzo più che giusto. Io stessa, che ho la fortuna di abitare nei pressi di un frantoio nel Pescarese, acquisto un litro d'olio al prezzo di 6,50€: non male, considerando che un Bertolli arriva a costare anche 8€. C'è da dire che molte aziende lavorano online, e coprono gran parte del territorio nazionale..Al di là dei parametri che tra poco esporrò, comprare un prodotto "autoctono", di cui è possibile visionare il processo di lavorazione - molti frantoi spremono l'olio dinanzi all'acquirente - e lo stabilimento di produzione mette al riparo da molte frodi. 

Gli esami cui gli esperti sottopongono l'olio - e che da oggi possiamo provare ad applicare anche noi - sono quattro: l'esame visivo, l'esame olfattivo, l'esame gustativo e l'esame tattile
  • L'esame visivo costituisce sicuramente il primo approccio al prodotto. Quello che poche persone sanno è che il colore dell'olio - dal giallo paglierino al verde intenso - non è indice di qualità: esso è determinato dallo stato di maturazione raggiunto dalle olive prima di essere spremute, oppure dall'"età" dell'olio stesso. Un olio novello tende ad essere molto verde; un olio di poco più "anziano" si presenterà giallo. Il consiglio, quindi, è di diffidare sia degli oli che presentano un colorito spento o trasparente (essi sono spesso costituiti da miscele) sia degli oli che presentano un colorito troppo vivido (sono spesso tinti). Un altro parametro importante è quello della limpidezza: un buon olio va dal limpido al velato - magari perché di recente spremitura - senza mai essere torbido. 
  • L'esame olfattivo è da effettuarsi mediante brevi e ripetute inspirazioni. Anche in questo caso, non bisogna cercare una fragranza definita: ciascuna specie di olive ha la propria. L'olio non è mai inodore: un olio senza profumo non è mai un olio puro. L'odore deve essere fortemente aromatico, dal fruttato al piccante: caratteristica fondamentale è la freschezza, che è indice della buona qualità delle olive e dalla loro corretta conservazione sino al momento della spremitura. Un olio che abbia strani retrogusti - da un retrogusto spiccatamente amaro sino ad un vago sentore di muffa - è un prodotto che rivela fin da subito dei difetti nelle varie fasi di realizzazione. Lo stoccaggio dei frutti in casse chiuse e umide dà luogo, difatti, a processi deteriorativi che necessariamente intaccano il succo ottenuto. Attenzione anche agli odori particolarmente invitanti  e profumati, poiché spesso di natura chimica.
  • L'esame gustativo è sicuramente l'esame più importante. Gli assaggiatori professionisti utilizzano un bicchiere apposito - di solito di vetro blu, per "annullare" il colore dell'olio e non lasciarsi influenzare - dalla forma a "campana rovesciata". Ovviamente, noi comuni mortali possiamo assaggiare l'olio versato sul pane o, per i celiaci, sulle gallette di riso. Un buon olio deve avere un sapore corposo e armonico, con una componente amara (per via dei polifenoli presenti) e piccante sul palato. Per classificare gli oli in base al sapore, i professionisti evidenziano tre categorie: il fruttato leggero (quasi assente l'amaro, sentori morbidi di mandorla, pinolo e noce); il fruttato medio (amaro di media intensità, rimandi alla frutta, al fieno e al piccante); il fruttato intenso (decisi sentori erbacei, foglia di pomolo, amaro e piccante molto accentuati). 
  • L'esame tattile serve a definire quello che è il corpo dell'olio. L'olio, passato tra due dita, rivela la sua rotondità, la sua pienezza e la sua struttura. Oli provenienti da miscele si riveleranno spesso, in sede d'esame tattile, poco viscosi e "lisci", anche se non bisogna dimenticare che quest'ultima indagine è quella che, tra tutte, è meno indicativa.
Dietro questi semplici passaggi si nasconde non solo la chiave per il benessere, ma anche la creazione di un vero e proprio rapporto con il prodotto che acquistiamo. Trovo che l'indagine sia un'indagine quasi di tipo intimista, un percorso che rimette in pace i sensi perché ci stimola a "ricordare" quelle che sono le nostre radici. Ci mette in contatto con fragranze dimenticate o mai sufficientemente esplorate e con un lavoro - la produzione dell'olio - millenario. Niente più dell'olio rappresenta la nostra identità: un'identità sì "gustativa", ma anche e soprattutto "umana". 

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