domenica 13 luglio 2014

VEGAN - Il perché della mia scelta

Credevo di lasciare l'etica al di fuori di questo blog. Dare un taglio tanto drastico - escludere carne e derivati dalle ricette - mi sembrava abbastanza per mostrare al mondo la natura del mio pensiero: eppure ho deciso di tornare sui miei passi, e raccontarvi i motivi di una scelta che - come me - accomuna molti lettori. Molti di voi avranno già letto questi principi e li avranno già fatti propri, da molto più tempo di me: eppure vorrei offrire la mia visione a quanti l'universo vegan non lo conoscono, o lo conoscono da poco, o lo conoscono attraverso parole che non sono le nostre. Proprio l'altro ieri mi capitava di imbattermi in un articolo che presentava i vegani come il frutto di una moda giovanile, legata alla disinformazione ed alla volontà di andare disordinatamente contro il sistema. Dipinti come moderni Don Chisciotte, in perenne lotta contro mulini a vento non ben identificati e contro nemici distanti, dai nomi altisonanti come "industria della carne", siamo noi: i vegani. Strano che una dieta - e una filosofia di vita - che si prefigge il minimo impatto sulle vite degli altri riceva dagli altri tanta attenzione. 
Questo non sarà però un post di "attacco": voglio prendere in considerazione le diverse sfaccettature della vita vegan e sperare che esse possano servire al lettore per formare una propria coscienza in merito all'argomento. Non è mio interesse formare "adepti" e rispetto le altrui opinioni, conscia che il "giusto" non sia un concetto universale: parlerò quindi di ciò che è giusto per me.

Per me è giusta la vita. E' giusta la libertà. E' giusta la maternità. E' giusta l'identità - di qualunque identità si parli -, poiché nessuno ha la facoltà di scegliere se nascere bianco o nero, grande o piccolo: ed è giusto che all'identità sia portato rispetto. Ritengo questi concetti pressoché universali e condivisibili, così come è condivisibile l'idea che non esista una "razza" legittimata a dominare tutte le altre. La storia umana è d'altro canto frutto di tentativi di assoggettamento d'altri popoli, e di lotte per liberarsi: ed è qui che ci accorgiamo che al nostro elenco manca un'altra cosa giusta, manca la dignità.
Fino ad adesso abbiamo parlato di etica umana. Un'etica che appartiene a noi tutti, e che garantisce - quantomeno apparentemente - una convivenza serena. Assodato questo, andrò avanti nel mio discorso, conscia che non tutte le sensibilità sono uguali e disposte a considerare un animale alla stregua di un uomo. Forse c'è della paura di fondo ad ammettere che la nostra vita è vita tanto quanto quella di una mucca, poiché questo discorso mette in discussione il nostro ruolo di "razza superiore". Se parlassimo di uomini saremmo tutti pronti a difendere le loro ragioni: ma poiché quello che ci riempie il piatto non ha facoltà di difendersi, né tramite azioni - la nostra "dominazione" rende loro impossibile la ribellione - né tramite parola, preferiamo nasconderci dietro questa strampalata legge di natura. Poiché qui non si parla solo di uccidere - la caccia è una cosa diversa - qui si parla di disporre completamente di un essere, controllandone la vita, il cibo, la riproduzione, la morte. C'è un aspetto particolarmente crudele in tutto ciò, ed è un aspetto che anche i più ferventi sostenitori della carne non possono negare: se proprio l'uguaglianza tra le specie ci sembra un discorso New Age, se proprio non riusciamo a credere che indurre la maternità ad una mucca per berne il latte sia - se non lesivo nei confronti della dignità della mucca - quantomeno un affronto alla legge naturale, almeno fermiamoci a riflettere su una cosa. Riflettiamo sul dolore. Questo è un particolare che ho letto spesso nelle brochure di sensibilizzazione, una cosa che mi ha profondamente scossa. Anche volendo mettere da parte tutte le emozioni dell'animale - il terrore della morte, la sofferenza per la separazione dai figli o dai genitori - riflettere sul dolore che questo prova mentre viene ucciso credo possa scuotere l'anima di chiunque. Una rapida ricerca su Google può far luce su quelli che vengono chiamati "metodi di stordimento", cosicché si abbia una concreta percezione che non c'è nulla in grado di preservare gli animali dalla loro orribile fine. Wikipedia elenca, tra i "metodi di stordimento", sistemi come la pistola a proiettile captivo o la commozione cerebrale: c'è ben poco di rassicurante, in tutto ciò. Prendere coscienza del dolore che può indurre un proiettile captivo - molti si trincerano dietro l'idea che gli animali vengano storditi, continuando a considerare "umana" la pratica dell'uccisione - è stato qualcosa che a me in primis ha provocato dolore. Stando così le cose - ed essendo ormai tutti a conoscenza di cosa mangiare carne significhi - non c'è altro da fare che scegliere in base alla propria morale. Io la mia scelta l'ho fatta. E tu? 

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